La recente modifica del codice della strada ha segnato un passaggio epico per chi pedala in Italia: il metro e mezzo per il sorpasso sicuro è finalmente legge. Si tratta di un traguardo importante per il Paese europeo che detiene il triste primato di morti per chilometro pedalato perchè per la prima volta la misura identificata come salva vita per i ciclisti è stata scritta nero su bianco e verrà insegnata come comportamento da adottare nelle scuole guida.
L’Associazione Corridori Ciclisti Professionisti Italiani che rappresenta 127 atlete e 296 atleti attivi nella massima categoria festeggia questo traguardo, anche se si tratta di un “traguardo volante” e non della vittoria finale. ACCPI si batte da anni per fermare la violenza stradale che negli ultimi anni ha ucciso Michele Scarponi, Davide Rebellin e tanti, troppi, ciclisti agonisti e persone comuni. La misura “salvaciclisti” è un simbolo e ora è nel codice della strada. All’art. 148 comma 9-bis infatti si legge: Il sorpasso dei velocipedi da parte dei veicoli a motore deve essere effettuato con adeguato distanziamento laterale in funzione della velocità rispettiva e dell’ingombro del veicolo a motore, per tener conto della ridotta stabilità dei velocipedi, mantenendo, ove le condizioni della strada lo consentano, la distanza di sicurezza di almeno 1,5 metri. Chiunque viola le disposizioni del presente comma è soggetto alle sanzioni amministrative di cui al comma 16, primo periodo.
«Come ci siamo arrabbiati per le tante promesse non mantenute dai nostri politici, ora dobbiamo ringraziarli per averci finalmente ascoltato. La formula è sicuramente perfettibile e dovrà essere accompagnata da un’educazione civica al rispetto della vita che va oltre l’applicazione della norma specifica, ma è un primo passo importante che siamo convinti alla lunga darà i suoi frutti – commenta il presidente di ACCPI Cristian Salvato. – Il percorso legislativo del metro e mezzo salva vita è stato lungo, faccio i complimenti al nostro responsabile per la sicurezza Marco Cavorso, promotore di questa battaglia con Maurizio Fondriest e Paola Gianotti, e a tutti coloro che con noi hanno più volte sollecitato le autorità ad intervenire. Come associazione rappresentiamo una piccola fetta di chi usa la bici sulle strade d’Italia, ma continueremo a darci da fare perchè gli spazi pubblici siano vivibili per tutti, a partire dai bambini che hanno il diritto di andare e tornare da scuola senza rischiare la vita. Per rendere le nostre strade davvero accessibili e sicure per tutti c’è ancora tanto da fare, a partire dal contrasto all’alta velocità, dal miglioramento delle infrastrutture e dalla promozione di un’educazione civica quanto mai necessaria. Con i nostri associati, che lavorano ogni giorno in strada, siamo a disposizione per campagne di sensibilizzazione che invitino chi guida ad usare la massima prudenza e al rispetto delle regole, compresa questa nuova».
Marco Cavorso, che nel 2010 ha pianto la morte del figlio Tommaso e da allora si batte per strade più sicure per tutti, è il papà di questo seme che genererà un cambio culturale: «Con l’associazione Io Rispetto il Ciclista e il sostegno di ACCPI abbiamo tappezzato l’Italia di cartelli e bussato alle porte di qualsiasi partito e ministro di turno, nel ricordo dei tanti ragazzi e ragazze vittime della violenza stradale. Oggi non gioisco perchè preferirei avere qui mio figlio piuttosto che dover trattare della prima causa di morte dei giovani nel nostro Paese, ma sento di aver fatto la mia parte. Tutto quello che ho fatto è merito di Tommy. Come ogni norma è ancora migliorabile e comprendo le perplessità su come verrà sanzionata, anche se i modi per rilevare chi infrangerà la regola ci sono, basta imparare da Gran Bretagna e Spagna che usano pattuglie con videoripresa per la constatazione immediata. A noi interessa il cambio del comportamento sulla strada che verrà soprattutto grazie ai prossimi patentati che nasceranno con questa norma e la applicheranno senza pensarci sopra, un po’ come é successo con l’uso del casco e delle cinture. A questo servono le regole, a insegnare cosa è giusto e cosa non lo è».